L’Intelligenza artificiale applicata alla professione legale consentirebbe di riformulare in pieno la professione con una conseguente forte riduzione di occupati e nuovi modi di svolgere la consulenza.
Ma davvero l’IA è nemica della professione e della giustizia?
Danno la loro opinione sul tema il nostro co-manning partner l’Avv. Claudio Bonora e il nostro associate l’Avv. Gianmaria Pesce in un articolo pubblicato sulla rivista ItaliaOggi.
« Ci sono in campo legale molte attività che richiedono non solo la memoria e la capacità di organizzarla, ma anche scienza e cultura giuridica e sociale, buon senso, umanità ed empatia, tutte qualità che non possono essere sostituite dall’intelligenza artificiale. Gradiremmo non tanto una presa di posizione del legislatore ma soprattutto un ruolo più attivo degli Ordini forensi capaci di individuare le criticità anche deontologiche di queste prassi e loro possibili effetti nei rapporti tra gli avvocati con e gli altri soggetti operanti nel settore. Devono essere sviluppate delle linee guida che garantiscano che l’intelligenza artificiale venga utilizzata in modo equo ed etico. L’intelligenza artificiale avrà effetti negativi in primo luogo sulla formazione dei giovani avvocati. Uno studio legale avrà certamente meno interesse ad inserire ed istruire giovani laureati e praticanti avvocati se un computer sarà in grado di produrre ricerche mirate, analisi di documenti approfonditi ed atti base in modo autonomo. Sotto il profilo economico poi la AI penalizzerà gli studi riducendo ulteriormente i corrispettivi per molte attività quali le due diligence, la pareristica, l’M&A ed aumenterà la forbice già esistente di indirizzo da parte dei clienti verso i grandi studi in grado di fronteggiare gli investimenti necessari a favorire risposte con tempi sempre più immediati e i piccoli studi, la cui capacità competitiva si limiterà al…»